Al fine della valutazione di un qualsiasi progetto, finanziario e non, si rende necessario l’uso di metodi quantitativi tali da consentire all’agente valutatore di poter effettuare una scelta relativa all’investire o meno un ammontare di risorse (monetario e/o non) nel progetto. L’analisi concernente la valutazione di progetti è senz’altro complessa, questa infatti va ad utilizzare processi derivanti da aree il più eterogenee possibile (e.g. giuridica, economica, tecnica, finanziaria e via discorrendo). Appare evidente che tutti gli aspetti sono importanti e rilevanti, ma ai fini della valutazione finale, sarebbe impensabile prescindere dalla valutazione finanziaria. Tale processo avviene utilizzando quelli che sono gli elementi fondamentali della matematica finanziaria ovvero quei modelli in grado di determinare una scelta corretta in termini di allocazione delle risorse – per definizione limitate – e dunque generare il soddisfacimento dei bisogni umani (i.e. incrementare la ricchezza iniziale del soggetto valutatore se valesse l’assioma di “non sazietà”  riguardo alla ricchezza stessa). Ad impattare sul valore del progetto sono molteplici fattori, tra cui senz’altro il tempo (inteso come durata temporale), il ”costo” per intraprendere il progetto inteso come variabilità dei flussi (risk premium) e come esborso monetario in ottica di cash flow negativi ed il tasso utilizzato per la valutazione.

Il tasso d’interesse è l’elemento fondamentale di tutti i processi valutativi, la maggioranza dei ”problemi” sono derivanti dall’utilizzo del corretto tasso per scontare i flussi futuri; questo tasso è coincidente con il c.d. ”costo opportunità”: investendo risorse in un progetto si rinuncia ad ottenere altri rendimenti.

È prassi consolidata far distinzione tra tassi di interesse spot (si legga ”a pronti”) che sono espliciti sui mercati finanziari, e quelli forward che non lo sono: da qui la problematica della determinazione della struttura per scadenza (term structure).

Tale processo prende il nome di bootstrapping e consente di determinare i tassi forward (impliciti) nel mercato.

Ritornando alla scelta del tasso di interesse, è comunemente diffusa l’identificazione dell’investimento alternativo come coincidente con quello privo di rischio, cioè un investimento in cui si assume che i flussi futuri siano certi (in termini quantitativi si pensi ad un’attività finanziaria a varianza nulla) e non vi sia rischio di credito. A tal proposito, è ragionevole ritenere che il rendimento di tale investimento sia risk-free e cioè il tasso di rendimento dell’attività risk-free è utilizzabile come discount rate dei flussi futuri; l’ipotesi sottostante a quanto appena affermato è quella tale per cui l’alternativa al progetto oggetto di valutazione è l’investimento dello stesso ammontare monetario necessario nell’attività priva di rischio.

A questo punto, si entra nel cuore dell’analisi: la scelta dell’attività non rischiosa. La struttura per  scadenza risk-free è dunque un input per il pricing di attività/strumenti finanziari(e non). Potrebbe sembrare corretto considerare privo di rischio il rendimento offerto dai Titoli di Stato, ma la storia insegna che non è evidentemente così (cfr.”Default Sovrani”). Restringendo il campo agli strumenti finanziari, la struttura per scadenza priva di rischio si rende necessaria per:

  • Definire il tasso di crescita atteso degli strumenti in ambiente di valutazione neutrale al rischio (cfr. ”risk-neutral pricing”);
  • Lo scopo che si è ante evidenziato (discounting dei flussi futuri)

Precedentemente al 2007 gli operatori del settore utilizzavano come proxy del tasso risk-free il LIBOR (London Interbank Offered Rate; generalmente si parla di xIBOR a seconda della valuta dell’operazione), il tasso di prestito a breve concesso alle istituzioni finanziarie AA-rated. Nell’ambito degli strumenti derivati, è da sottolineare che quello più diffuso è un Interest Rate Swap dove il LIBOR è scambiato per un tasso fisso (i.e. tasso swap).

Uno dei ”benefici” provenienti dall’uso del LIBOR come proxy del tasso privo di rischio nel pricing di questa tipologia di swap è che rende piuttosto semplice la valutazione, è infatti necessario e sufficiente effettuare il bootstrapping di un’unica curva per ottenere i payoff e i tassi di sconto. Come è stato accennato sopra, l’uso del LIBOR al fine di prezzare gli strumenti finanziari è risultato efficace fino allo scoppio della crisi creditizia (metà 2007) in cui le banche hanno iniziato ad evitare di ”prestare” liquidità ad altre banche (cfr.  credit/counterparty risk).  Risultato di questa unwillingness to lend è stato evidentemente l’aumento del LIBOR. Risulta interessante osservare lo spread TED e cioè il differenziale tra il LIBOR in Dollari U.S.A differenziale tra il LIBOR in Dollari U.S.A.  a tre mesi ed il rendimento dei titoli Governativi statunitensi a tre mesi:

Osservando la Figura 1, si può notare che in condizioni di mercato normali, tale valore è disperso attorno ai 50 bps.  Nel periodo tra Ottobre 2007 e Maggio 2009 lo spread è arrivato a picchi di oltre 450 basis point ed è stato raramente sotto i 100. Per le considerazioni appena esposte si può dunque concludere che il LIBOR non è considerabile come proxy corretta del tasso risk-free. Attualmente, è prassi diffusa (non totalmente) tra gli operatori finanziari quella di utilizzare il tasso OIS (overnight indexed swap) come proxy (corretta a parere di chi scrive) del tasso privo di rischio. Relativamente alla diffusione dell’uso dell’OIS anziché il LIBOR è dovuta al fatto che  molte istituzioni utilizzano sì l’OIS, ma per prezzare i soli derivati collateralizzati (i.e. garantiti da ”margine di mantenimento”) e non  per tutti  gli  strumenti; la  ratio di ciò deriva dal fatto che in questo caso la transazione è garantita da un asset (collaterale) su cui è pagato il tasso di main refinancing (fissato dalle Banche Centrali) che è evidentemente legato all’OIS.

Per le motivazioni relative alla preferenza su derivati collateralizzati si rimanda a letteratura specifica.  Ad ogni modo l’intuizione di base sottostante a ciò è quella tale per cui usare il LIBOR per le transazioni non collateralizzate e l’OIS per quelle collateralizzate violerebbe la legge del prezzo unico, infatti, da un punto di vista totalmente economico il ”no-default value” di una transazione garantita (collateralizzata) dovrebbe essere il medesimo di una non collateralizzata. In altre parole il rischio di credito resterebbe lo stesso nonostante la presenza di una garanzia.

Source: Data Provided by FactSet

 

 

 

 

 

 

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