In materia di gestione di portafoglio è prassi comune classificare i medesimi sulla base dell’obiettivo che ci si pone di raggiungere al momento della loro costruzione. A tal proposito distinguiamo principalmente quattro diverse tipologie: portafogli a benchmark, portafogli total return, portafogli protetti-garantiti e portafogli a scadenza.

I portafogli benchmark si propongono l’obiettivo di battere un mercato di riferimento. Il risultato viene quindi valutato sulla base delle performance ottenute dall’indice rappresentativo di quel mercato, utilizzato appunto come benchmark (da qui il nome). Bisogna dar conto del fatto che l’indice preso a riferimento è costituito da una ponderazione dei titoli quotati, eseguita con pesi differenti, decisi sulla base di regole specifiche stabilite dal gestore di mercato. Le scelte attive spettanti al gestore di questi portafogli sono principalmente due: l’assegnazione di una diversa ponderazione ad alcuni titoli, rispetto all’indice di riferimento, effettuata a partire da considerazioni varie (ad esempio, relative alla classe di attività o all’area geografica) e l’assunzione di posizioni extra-benchmark per aumentare la redditività di portafoglio, ovvero di posizioni su titoli non presenti nell’indice. Di norma queste ultime rappresentano anche la componente più rischiosa per questa tipologia di portafogli. Essi possono essere concentrati su singoli mercati oppure diversificati, ma presentano in ogni caso un’elevata correlazione con il mercato (o i mercati) di riferimento. Inoltre, nella gestione di portafoglio, lo spazio di manovra lasciato al gestore viene definito sulla base del rischio che può assumere nell’operare. Esistono diverse misure per definire la delega conferita al gestore; nell’ambito dei portafogli benchmark si usa la Tracking Error Volatility, la quale rappresenta una misura della variazione casuale del portafoglio rispetto all’indice scelto come riferimento.

 

I portafogli total return sono finalizzati all’ottenimento di un rendimento costante indipendente dall’andamento dei mercati. L’obiettivo viene perseguito attraverso un’asset allocation dinamica ed un adeguato controllo dei rischi. Questo fa sì che al gestore sia garantita una libertà maggiore, rispetto alla tipologia precedente, in termini di declinazione delle scelte attive, in particolare per quanto riguarda la scelta delle asset class e delle aree geografiche su cui investire. Si tratta di investimenti con obiettivo di rendimento e di rischio esplicito che è compito del gestore del fondo raggiungere. Un’altra particolarità che attiene a tali portafogli è rappresentata dalla misurazione dei rendimenti. Di prassi i rendimenti conseguiti sono relative return, ossia confrontati sulla base di un benchmark; per tali portafogli, al contrario, il rendimento può essere dovuto a scelte attive che non seguono l’andamento di un mercato. Ad esempio, un gestore potrebbe scegliere di realizzare delle vendite allo scoperto quando un mercato va in perdita; ciò renderebbe impossibile confrontare il rendimento del portafoglio con un indice di mercato. Si opta quindi per una misura della redditività che tenga conto di tutte le possibili fonti di guadagno. Chiaramente l’attività del gestore deve passare attraverso un adeguato controllo dei rischi attuato dalla funzione di risk management; la delega al gestore viene definita sulla base del massimo livello di Var (Value at Risk), ossia una misura che indica la perdita potenziale di una posizione di investimento in un certo orizzonte temporale, solitamente un giorno, con un certo livello di confidenza, solitamente pari al 95% o 99%.

 

I portafogli protetti si pongono l’obiettivo di massimizzare il rendimento nel rispetto di un minimo garantito al cliente, in un dato orizzonte temporale. Per raggiungere lo scopo i gestori si dotano di algoritmi di protezione del capitale, la cui costruzione comporta il bilanciamento tra i costi delle negoziazioni richieste dall’algoritmo e l’efficienza dello stesso. Per tali portafogli la scelta dell’algoritmo rappresenta il momento più delicato, in quanto strettamente collegata con la possibilità di conseguire effettivamente l’obiettivo. Tra le tipologie più utilizzate dai gestori vi è quella degli algoritmi con finalità di protezione a scadenza. Senza addentrarsi nel tecnicismo dell’attività di costruzione, possiamo affermare che essi, al fine di garantire la protezione del capitale, agiscono tramite la riallocazione di una componente obbligazionaria a copertura della componente rischiosa. La difficoltà operativa principale è rappresentata dal fatto che, spesso, non è presente sul mercato un titolo obbligazionario con le caratteristiche necessarie al gestore. Per superare tale ostacolo, si procede alla replica tramite un portafoglio obbligazionario. Le scelte attive in merito a questi portafogli attengono all’assunzione di posizioni assolute su alcune classi di attività, aree geografiche o titoli all’interno della componente rischiosa. Il rischio più grande che corre il gestore è che l’algoritmo possa fallire, in particolare a seguito di eventi di Gap.

I portafogli a scadenza si prepongono di conseguire un risultato superiore ad un obiettivo di rendimento associato ad un limite di rischio, durante tutto il ciclo di vita del portafoglio, oppure il pagamento di una cedola periodica. La peculiarità di tali portafogli è rappresentata dalla presenza di un ciclo di vita scandito da collocamento, gestione e scadenza. Generalmente presentano pochi vincoli all’investimento, il gestore ha una certa libertà nella declinazione delle scelte attive in particolare in merito alla scelta di asset class ed aree geografiche. Il rischio nella gestione di questi portafogli è rappresentato principalmente dall’assunzione di posizioni su mercati in perdita.

 

Leave a Reply