Ed ora cosa succederà? Sembra essere la domanda più ricorrente di questa “nuova” era post Covid-19, la classica “domanda da un milione di dollari”. Fare previsioni, soprattutto se di lungo termine e in uno scenario ancora fortemente caratterizzato da tanta incertezza, è un esercizio che non ci spingiamo a fare e che, ad onore del vero, neanche i più temerari azzardano.

Quello che però possiamo raccontare in quanto facilmente osservabile, è ciò che sta succedendo ai mercati finanziari, i quali da un lato hanno sofferto nei mesi scorsi pesanti perdite e bruciato mld di dollari di capitalizzazione, dall’altro stanno nelle ultime settimane provando a rialzarsi, uscendo lentamente dal baratro in cui erano piombate negli ultimi mesi.

Sia chiaro, rivedere performance rialziste a due cifre sui mercati, sia al di qua che al di là dell’Oceano, è strada impossibile da percorrere. Ricordiamo infatti che il 2020 si era aperto con l’euforia della fase rialzista più lunga della storia di Wall Street, con l’S&P500 che aveva registrato una performance positiva YoY del 28,9%, seguito dal Dow Jones che aveva chiuso l’anno avanti del 23,2% e con il Nasdaq Composite che aveva addirittura segnato un +35,2%. La “volata” al mercato bull di Wall Street era stata tirata da due fattori su tutti: il boom tecnologico sostenuto da internet ed il fatto che i tassi non avessero mai toccato picchi così bassi come negli ultimi 10 anni.

Ed è proprio da questi pilastri che il mercato americano prova a ripartire in questa nuova fase post pandemia. Se da un lato è innegabile l’impatto del fattore tecnologia nella nostra quotidianità – basti solo pensare all’incremento massiccio di app e piattaforme per meeting virtuali – dall’altro è altrettanto vero che, mai come in questo momento storico, le banche centrali si sono spinte ad esplorare orizzonti fino ad ora quasi mai inesplorati.

Al di qua dell’Oceano, infatti, si è visto come la BCE attraverso vari canali ha proceduto ad immettere liquidità nel sistema finanziario nel disperato tentativo di raggiungere l’economia reale. Con lo stesso intento, ma con un meccanismo diverso, la FED ha invece messo sul campo, o meglio, ha fatto scendere “dall’elicottero” una cifra che supera i 2000 miliardi di dollari, cercando di rimettere in moto un’economia flagellata dal più alto tasso di disoccupazione dal secondo dopoguerra, che stando agli ultimi dati si attesta sul 13,3% dopo il picco di aprile in cui aveva toccato il 14,7%.

Se queste misure introdotte saranno sufficienti, benché necessarie, lo dirà solo il tempo. Ciò che è certo è che seppur con molta timidezza i mercati stanno provando a rialzarsi scommettendo su una ripresa “a V”, o molto più probabilmente a “W”, con continui picchi di alti e di bassi come dimostrato dai numeri di queste ultime settimane.

Ma andiamo con ordine e vediamo cosa è successo in questo primo scorcio di giugno sui mercati.

Il mese si è aperto con i mercati in terreno positivo e con segnali incoraggianti nella prima settimana in tutte le principali piazze europee ed americane, con Piazza Affari che, tra le migliori in Europa, ha segnato +8% nei primi tre giorni di contrattazioni seguita dai listini americani: Dow Jones +2,05%, S&P 500 +1,36% e Nasdaq +0,78 per cento. A beneficiare di questo rimbalzo sono stati, a grandi linee, un po’ tutti i settori, persino quello più colpito: il turismo. Basti pensare che, nella prima settimana di contrattazioni, le azioni delle tre compagnie crocieristiche (Norwegian Cruise Line, Royal Caribbean Cruises e Carnival Corp), quotate sulla piazza americana sono rimbalzate, rispettivamente, del +3.39%, +3.76% e 2.25%.

Storia diametralmente opposta quella di questa seconda settimana di giugno, soprattutto per Piazza Affari che ha visto il listino FTSE MIB sprofondare a -4.8% nella giornata di giovedì. Affossata dai colossi dei comparti industriali, bancari ed energy. Maglia nera di giornata è toccata a CNH che ha chiuso sotto la soglia dei 6€ pagando pesantemente lo “sgonfiarsi” dell’effetto Nikola, la startup dell’Arizona, il cui 7% è detenuto da IVECO, società della galassia Agnelli ndr. Sulla startup che punta tutto sui camion ad idrogeno, che ha lasciato sul terreno il 18%, ha influito la controffensiva mossa da Tesla e Ford sul fronte, ancora tutto aperto, dei camion ibridi.

Alla performance negativa del FTSE MIB della scorsa settimana, hanno contribuito anche i titoli del comparto banking. Se non stupisce più di tanto la seduta negativa di Banco BPM, molto in affanno nell’ultimo periodo, discorso diverso va fatto invece per UniCredit che lascia sul terreno il 7.87% andando sotto gli 8€.

In generale, sul comparto bancario, pesa la scure degli NPL che rischia di abbattersi nuovamente sulle banche di casa nostra. In tal senso, nell’ultima settimana di contrattazioni, le banche hanno pagato sul mercato i dati resi pubblici da Bankitalia che ha reso noto come alla fine di aprile le banche italiane avessero in pancia un totale complessivo di 71,08 mld di crediti non performing.

Di fronte a questa situazione verrebbe da dire che se Atene piange, Sparta non ride. Di fatti, se la situazione in casa nostra è ancora molto grigia, in America la situazione non è poi così rosea.

Sul fronte interno americano, infatti, sono due i fattori da tenere in considerazione per capire in che direzione andranno i mercati nei prossimi mesi:

  • le elezioni presidenziali nel mese di novembre
  • le rivolte interne di questi giorni

Sebbene siano eventi connotati da una forte incertezza portano con loro il paradosso di favorire la ripresa del mercato borsistico americano. Di fatti, se è vero che Trump è aspramente criticato dal ceto medio e dalle minoranze americane, è altrettanto vero che una sua (non improbabile) riconferma verrebbe vista di buon occhio dai mercati che, da sempre, tirano per la giacchetta il tycoon della grande mela.

Se invece, come recita un vecchio adagio, la storia si ripete sempre, non dovrebbero preoccupare le rivolte sociali di questi giorni. Di fatti, in scenari simili a quelli che si stanno verificando a seguito della morte del cittadino afroamericano George Floyd, i listini americani hanno sempre risposto con un forte aumento. È il caso dello S&P500 che nell’anno di sangue del 1968, per capirci quello degli assassini di Martin Luther King e di Robert F Kennedy, a fine anno segnò un +11%. Sempre lo S&P500, in tempi più recenti, toccò un +4.5%, subendo solo in parte le proteste a Zuccotti Park del movimento “Occupy Wall Street” così come, neanche il processo per impeachment del presidente Bill Clinton fermò lo S&P500 che, a cavallo tra il ’98 ed il ’99, mise a segno un +20% nonostante la grande incertezza politica interna.

In definitiva, è presto per capire chiaramente in che direzione andranno i mercati finanziari nei mesi a venire ma una cosa è certa, quasi scontata, una duratura ripresa dei mercati borsistici non può prescindere dalla ripresa dell’economia reale e dall’aumento dei consumi.

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