A quasi dodici mesi dall’inizio della pandemia di Covid – 19, la società occidentale, oltre che dover fare i conti con le numerose e le serissime conseguenze dal punto di vista sanitario, è chiamata a fronteggiare anche una possibile radicale trasformazione del sistema economico. Un evento talmente catastrofico ed imponderabile da infliggere danni potenzialmente profondi ad interi comparti industriali, dalla ristorazione al turismo, dal retail agli eventi culturali, solo per citarne alcuni. Un’onda lunga che ha finito per coinvolgere anche il mondo del calcio, un settore che, di fronte a trasferimenti sempre più onerosi ed agli ingaggi ugualmente lauti degli ultimi anni, era parso essere immune perfino alla profonda crisi finanziaria del 2008. In questo caso, tuttavia, lo scenario che si sta profilando all’orizzonte sta costringendo i campionati più blasonati a livello europeo a prendere il prima possibile delle contromisure sufficienti a far sì che il sistema non collassi definitivamente. Una previsione funesta, che, in effetti, pare avallata anche dai dati espressi dalla 24esima edizione della Football Money League pubblicata dallo Sports Business Group di Deloitte, il quale, procedendo con un resoconto dettagliato della situazione finanziaria delle principali 20 squadre del Vecchio Continente, mette in evidenza un drastico calo delle entrate societarie che accumuna l’intero settore.

Entrando più nello specifico, attraverso l’analisi delle principali voci di bilancio, il report in questione procede a fare luce sui risultati reddituali conseguiti nella stagione 2019/2020. Prendendo in considerazione, per prima cosa, i ricavi a livello aggregato. Si nota la cifra di 8,2 miliardi, ben il 12 % in meno rispetto ai 9,3 miliardi dell’anno precedente. Per quanto riguarda il fatturato, inoltre, si è registrato un calo di 55 milioni di euro, passando, così, dai 464 milioni del bilancio della stagione 2018/2019 ai 409 milioni di quest’anno. Con l’ultima partita aperta al pubblico risalente allo scorzo marzo, uno dei fattori principali di questa ingente contrazione non può che essere il mancato incasso al botteghino: sempre secondo quanto analizzato da Deloitte, ciò ha finito per causare una perdita di 257 milioni di euro, segnando un – 17 % rispetto alla scorsa stagione. Il nodo più importante, tuttavia, rimane quello dalle entrate derivanti dai diritti tv, quindi dagli accordi stipulati dalle varie leghe nazionali con le emittenti televisive. In questo caso emerge un calo assai pronunciato, che va ad assestarsi sul – 23%, che equivale a ben 937 milioni di euro in meno nelle casse delle maggiori compagini europee.

Spostando la lente d’ingrandimento sul calcio di casa nostra, la situazione descritta dal report appare sostanzialmente la medesima. A partire dalla Juventus, la quale, fa registrare un calo del proprio fatturato di – 397,9 milioni di euro, il quale sembra attutito solamente dalla chiusura in aumento delle partnership con Adidas e Jeep. A Milano sponda Inter, il segno rimane ancora un netto meno (37 %), passando dai 346,6 milioni della stagione 18/19 agli attuali 291,5 milioni. Dall’altra parte, il Napoli è reduce da una flessione più contenuta, che si attesta intorno ai 31,1 milioni di euro. In generale, il dato impressionante è il riflesso che queste mancate entrate hanno avuto sul risultato d’esercizio dello scorso anno, che, mettendo insieme squadre come Juventus, Inter, Milan e Roma mostra un passivo che arriva a sfiorare i 600 milioni.

Alla luce di queste considerazioni, quindi, la “Confindustria del pallone”, come viene chiamata l’assemblea dei presidenti delle squadre della Serie A, ha deciso di intervenire attivamente per porre rimedio ai problemi attuali e gettare le basi per una crescita sostenibile nel medio lungo termine. Nel corso degli scorsi mesi ha preso corpo l’idea di cambiare le modalità con cui storicamente veniva gestita l’asta per la concessione dei diritti per trasmettere i match nella Penisola e nel resto del mondo. Nel corso degli anni, infatti, il campionato nostrano ha progressivamente perso terreno con gli altri paesi proprio a causa della cattiva gestione di questi particolari ricavi, i quali, in leghe come quella d’oltremanica, si sono rivelati fondamentali per portare ad uno sviluppo massiccio del brand e a numerosi investimenti in infrastrutture moderne ed efficienti. La maggiore peculiarità del sistema inglese è rappresentata dalla loro modalità di spartizione, che prevede una divisione uguale per tutte le squadre, in modo da diminuire il più possibile il gap finanziario e rendere la competizione maggiormente avvincente, arrivando a confezionare un prodotto ancor più vendibile alle emittenti televisive nazionali ed estere. Facendo riferimento alla stagione 2018/2019, per esempio, si è arrivati a toccare quota 2.4 miliardi di sterline, ripartiti in larga parte nella stessa misura, se non per una percentuale che prendeva in considerazione variabili come il merito sportivo ed il numero di partite trasmesse, con quest’ultimo che dipende dal bacino d’utenza dei supporters e dall’appeal del club. In Italia, invece, si è stati soliti seguire uno schema meno basato su di un’ottica paritaria, ma bensì sul blasone del singolo club, finendo, così, per dividere solo il 50 per cento in parti uguali, mentre il resto veniva definito in base a criteri come la storia, la tifoseria e le prestazioni sportive dei cinque anni precedenti. In questo modo, però, il divario tra le storiche “Sette sorelle” del campionato e le compagini medio piccole è andato via via aumentando, rendendo molto difficile per quest’ultime competere per traguardi importanti. Non è un caso, allora, che, con una stessa squadra che vince il campionato consecutivamente da ben nove anni, il brand della Serie A non sia in grado di fruttare quanto quello inglese.

Con questa premessa, il presidente della Lega di Serie A Paolo Dal Pino ha deciso di promuovere la creazione di una media company per gestire i futuri diritti tv della Serie A: una newco, che può essere definita come “una società votata all’ideazione, produzione e diffusione di contenuti nativamente multipiattaforma”. L’idea dei vertici della Lega è stata quella di affidare ad uno strumento di questo tipo le prossime trattative con i broadcaster, cominciando già dal bando dei diritti che vanno dal 2021 al 2024. Altro ruolo fondamentale nella vicenda è ricoperto da Luigi De Siervo, AD della Serie A, che ha maturato una grande esperienza nella commercializzazione degli eventi sportivi nel suo passato in RAI e che ha paventato la creazione di un canale tematico ad hoc per la trasmissione delle partite. L’obiettivo consisterebbe nell’aumentare il già citato introito di 1,4 miliardi cercando nuovi players che possano partecipare all’asta che si sta tenendo in questi giorni. L’ipotesi Amazon, entrata nella partita dei diritti della Champions League ad oggi appare remota, mentre prende sempre più corpo il coinvolgimento di DAZN grazie all’infrastruttura digitale di TIM. Ed è in questo frangente specifico che emerge l’importanza strategica della novità che ha investito il sistema calcistico italiano: difatti, per la prima volta si è assistito ad un concreto interessamento dei fondi di private equity ad investire nella Serie A, e più nello specifico, nel capitale della neonata newco, che si occuperà della promozione del suo brand. Un’iniezione di liquidità fondamentale per dare sostanza ad un progetto di tale portata, e determinata dalla cessione del 10 per cento delle quote alla cordata composta da Cvc Capital Partners, Advent International e Fsi. Ai blocchi di partenza, l’asse che collega Boston (Cvc), Londra (Advent) e Milano (Fsi) era contrapposto ad altri due fondi come Bain e Nb Renaissance. Alla fine di una lunga serie di trattative è stata ritenuta più soddisfacente l’offerta del primo cartello che consisteva in 1,7 miliardi.

A testimonianza del ruolo nevralgico di questi fondi si noti come sia stato concesso ad essi il ruolo dell’amministratore delegato della media company, con la Lega che si è riservata una sorta di clausola di gradimento e la metà del consiglio d’amministrazione. Difatti, la prima sfida all’orizzonte riguarda proprio la composizione del CDA, in cui per ora figurano cinque membri rappresentanti della Lega, come i presidenti rispettivamente di Juventus e Napoli, Andrea Agnelli ed Aurelio De Laurentiis, Stefano Campoccia, vice presidente dell’Udinese, ed infine Claudio Fenucci e Guido Fienga, rispettivamente AD di Bologna e Roma. In attesa delle decisioni della cordata dei fondi, la prossima assemblea di Lega dovrà decidere sul sesto membro, scegliendo un profilo tra Gianluca Vidal, in quota Sampdoria, e Giovanni Carnevali del Sassuolo.

La notizia è finalmente una boccata d’ossigeno per un sistema da sempre molto legato allo status quo e fortemente restio al cambiamento, con la speranza che sia il primo passo verso la costruzione di un sistema sostenibile dal punto di vista finanziario e capace di aumentare l’appeal di un campionato fermo ai gloriosi fasti degli anni novanta.

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