L’ultimo anno e mezzo non è stato tra i più facili per il commercio internazionale: alla pandemia di coronavirus, che ha interrotto buona parte delle attività umane, è infatti seguito nel marzo 2021 il ben noto incidente del canale di Suez, che ha bloccando una delle principali vie del commercio per una settimana. Successivamente, tra maggio e giugno è rimasto chiuso il porto di Shenzhen, uno dei maggiori al mondo per traffico di merci, a causa di un focolaio di Covid-19. Questi incidenti sono avvenuti poi in un contesto di fragilità strutturale, causata principalmente dalla carenza di container e dalla presenza di pochi porti in grado di ospitare le enormi navi cargo di ultima generazione. Nemmeno la tanto agognata ripresa ha risolto i problemi: la ripartenza simultanea delle attività ha infatti creato un enorme flusso di ordini che un sistema già di per sé fragile non è riuscito completamente ad assorbire. Il risultato è che i porti di tutto il mondo sono congestionati, e di conseguenza tempi di trasporto si sono sensibilmente allungati, concorrendo all’aumento dei prezzi che sta caratterizzando questi ultimi mesi.

Alla luce di tutto ciò, che strada sta prendendo il commercio internazionale, e come si evolverà nei prossimi mesi? Naturalmente nessuno ha la sfera di cristallo, ma questo non impedisce di poter fare delle previsioni, e secondo la World Trade Organization (WTO) le cose andranno meglio del previsto. Per il 2021 si prevede infatti una crescita del volume delle merci scambiate del 10.8% rispetto al 2020. Si tratta di un risultato al di sopra delle aspettative, e coincidente con il migliore degli scenari possibili tra quelli ipotizzati all’inizio dell’anno. Inoltre, nel 2022 il volume dovrebbe aumentare di un ulteriore 4.7%, facendo sì che il volume dei commerci internazionali ritorni ai livelli pre-pandemici. Tuttavia, la ripresa non sarà omogenea: si concentrerà infatti in Asia, Europa e Nord America, mentre in regioni come Africa e Medio Oriente sarà più lenta.

Ci sono però molti rischi all’orizzonte. Il primo è naturalmente il coronavirus, la cui pandemia non può di certo dirsi conclusa: in gran parte dei paesi sviluppati, che stanno trainando la ripresa, l’inverno è alle porte, e non è ancora chiaro se la campagna vaccinale sarà stata sufficientemente estesa da resistere alla maggiore contagiosità della variante delta. Nel resto del mondo invece i vaccini continuano a scarseggiare: il rischio è quindi che si formino nuove varianti, più resistenti ai vaccini e che possono riportare il mondo indietro di un anno, con blocchi delle attività generalizzati più o meno ovunque.

A questi timori si aggiungono il congestionamento dei porti, già citato in precedenza, ma anche l’elevata inflazione e le numerose carenze di prodotti, in particolar modo i semiconduttori e le materie prime come il petrolio, che rischiano di provocare da una parte un calo della domanda, e dall’altra degli stop alla produzione, con ripercussioni sull’offerta. Nel lungo periodo invece le minacce maggiori sono rappresentate dalle crescenti tensioni commerciali tra paesi, nonché dal cambiamento climatico e dal maggior rischio di eventi straordinari, che metteranno a dura prova la resilienza del sistema.

 

FONTI:

  • https://www.wto.org/english/news_e/pres21_e/pr889_e.htm
  • https://www.wto.org/english/news_e/pres21_e/pr876_e.htm
  • https://nrf.com/media-center/press-releases/retail-cargo-continues-setting-records-supply-chains-struggle-keep

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