24 Febbraio 2022: l’Ucraina, già da giorni circondata da circa 150.000 soldati russi, viene attaccata da Nord e da Est. I meno attenti sono sorpresi: l’Europa torna, dopo diversi anni, a essere teatro di una guerra che sarebbe potuta divenire da lì a poco mondiale. I più informati non si stupiscono: già dal 2014, in seguito alla caduta del governo filorusso di ViktorYanukovic, Putin cercava in tutti i modi di arrestare il progressivo avvicinamento dell’Ucraina all’Occidente, a tal punto da occupare la Crimea. In Europa è tempo di decisioni forti: come opporsi alla superpotenza russa senza provocare lo scoppio di una guerra ancora più distruttiva?

È l’inizio di un vero e proprio conflitto economico a colpi di sanzioni e contro sanzioni. Nuovi provvedimenti, in aggiunta a quelli già entrati in vigore tra il 2014 e il 2022, vengono annunciati. I bersagli sono molteplici: istituti finanziari, individui considerati colpevoli della guerra e, soprattutto, il commercio con Mosca. Rispetto al 2021, il 49% delle esportazioni verso la Russia e il 58% delle importazioni dalla Russia vengono interrotte. L’UE smette di commerciare con la Russia tutto ciò che potrebbe contribuire alle operazioni militari: tecnologia (per cui la Russia è molto dipendente dall’Occidente), attrezzatura utile per i trasporti, strumenti per la raffinazione del petrolio o beni legati all’energia.

Per quanto riguarda le importazioni, si cerca di colpire un settore strategico dell’economia russa: i combustibili fossili. Ridurre l’importazione di petrolio (greggio o raffinato), carbone e gas provenienti dalla Russia è l’obiettivo dell’UE. Il piano è semplice: non ricevendo più gran parte dei ricavi relativi ai combustibili fossili, ovvero relativi al prodotto maggiormente esportato dai russi, questi non riusciranno più a sostenere le spese militari per portare avanti la guerra sul territorio ucraino e, lentamente, si arrenderanno. Il timore, tuttavia, non è indifferente: che impatto avrà questo ulteriore allontanamento dall’economia russa sullo stile di vita delle persone comuni?

D’altra parte, gli effetti sull’economia europea in seguito alle sanzioni del 2014 non destano ottimismo; già nel 2016 il giornale “Repubblica” titolava “La Russia è costata all’Italia 3,6 miliardi”. Di fatti, a causa delle sanzioni, l’Italia ha smesso di vendere abbigliamento, macchinari, autoveicoli, apparecchi elettrici e agroalimentare alla Russia, perdendo così l’ottavo paese destinatario delle sue esportazioni.

Gli effetti dell’embargo nel breve periodo sembrano avere successo: poco dopo il 24 Febbraio lo stesso Putin afferma che serviranno “cambiamenti strutturali dell’economia (russa) che porteranno a un incremento di disoccupazione ed inflazione”. Il 25 Febbraio, la borsa russa entra così in crisi che Mosca deve intervenire duramente: gli investitori stranieri non possono liberarsi delle azioni russe e le operazioni di compravendita vengono severamente limitate. C’è molto pessimismo verso l’economia russa: molti si aspettano un calo del PIL in doppia cifra.

A un anno e mezzo di distanza, tuttavia, questa previsione non si è realizzata. Due i motivi alla base: la Russia sembra esser riuscita ad eludere le sanzioni dell’Occidente. La falla principale delle sanzioni è che colpiscono solo la Russia ma non i suoi partner commerciali che, una volta ricevuti i prodotti europei, li commerciano con la Russia. Per esempio, non può essere un caso che le esportazioni nordamericane di microchip e di batterie al litio siano cresciute esponenzialmente proprio in Turchia (+4.000%), negli Eau (+2.700%) e in Kazakhistan (+900%), autentiche porte girevoli dell’industria russa.

La seconda ragione alla base è che l’Europa non è riuscita a rendersi completamente indipendente dal gas russo. Non solo nel 2023 l’Europa ha importato il 40% di gas naturale liquefatto (GNL) in più dalla Russia rispetto al 2021, ma ha permesso a Putin di stabilire le sue condizioni, una fra tutte quella di accettare solo pagamenti in rubli. È quindi in atto una corsa per emanciparsi dai combustibili fossili russi. Per raggiungere tale obiettivo, l’Italia stringe accordi con Algeria, Azerbaigian e Libia, oltre ad aumentare l’importazione di GNL proveniente da Stati Uniti, Africa, Qatar, Nord Europa (e Russia).

Come si può vedere dai grafici, le importazioni di gas dalla Russia sono molto diminuite se pensiamo che nel 2020 queste rappresentavano il 43,3% delle importazioni totali. Tuttavia, è proprio quest’ultimo dato ad essere preoccupante. Com’è possibile che l’Italia nel 2020 fosse ancora così dipendente dalla Russia in materia di approvvigionamento energetico?

La guerra in Ucraina è iniziata nel 2014 ed era prevedibile che la situazione sarebbe potuta precipitare. Perché, dunque, questo processo di emancipazione dai combustibili fossili russi non è iniziato prima? Perché l’Europa si è fatta cogliere così impreparata? È proprio questa la causa dell’inefficacia delle sanzioni: il ritardo. Se già nel 2014 l’Europa avesse iniziato a cercare alternative, non si sarebbe ritrovata nel 2022 adover continuare, seppur in quantità ridotta, ad importare dalla Russia, dandole così la ninfa vitale necessaria per portare avanti la guerra.

Ciò che impressiona ancora di più è che l’Italia sembra stia commettendo lo stesso errore: comprare dall’Algeria, un regime dittatoriale conosciuto per essere fortemente repressivo o l’Azerbaigian, che da poco si è impegnato in una guerra contro gli armeni, non è così diverso da finanziare la Russia.

Certo: l’Italia deve pur importare combustibili fossili dall’estero per soddisfare la sua grande domanda. Tuttavia, se non siamo un paese ricco di giacimenti di gas o di petrolio, non ci mancano sicuramente sole, vento e acqua. Ecco perché l’unica soluzione è puntare sul rinnovabile. Invece, l’Italia è indietro sulla tabella di marcia anche per quanto riguarda il raggiungimento degli obiettivi di Agenda 2030. Per aggiungere un dato, la percentuale di elettricità italiana prodotta da energia eolica e solare è aumentata solo dal 13% al 16% tra il 2015 e il 2020. Ecco perché, tra sanzioni e controsanzioni, sembra che l’Italia, e l’Europa, continuino a commettere gli stessi errori.

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