Si chiama S&P Completion Index  l’indice, meno noto ai più, che ha chiuso il 2020 con una performance superiore al 33%, raddoppiando il brillante risultato ottenuto nello stesso periodo dal competitor per eccellenza: l’S&P500, con il suo +14% da inizio anno.

Come si giustifica un risultato del genere per un indice a tutti gli effetti considerato di “seconda categoria”? Di fatto il paniere include tutti i titoli azionari del mercato americano, ad eccezione di quelli già compresi nell’S&P 500, quest’ultimo realizzato da Standard & Poor’s nel 1957 e che segue l’andamento di un paniere azionario composto dalle 500 American corporations a maggiore capitalizzazione. 

Il Completion Index è tipicamente associato ai titoli di aziende di micro, piccola e media capitalizzazione che non rispettano i determinati criteri previsti per l’inclusione  nell’S&P 500. L’aggiunta di Tesla, il titolo a maggiore capitalizzazione dell’indice, nonché sesta maggiore società quotata negli Stati Uniti, ha rappresentato un’anomalia. Il ruolo chiave ricoperto da Tesla all’interno dell’indice durante il 2020, che ha beneficiato di un apprezzamento in borsa del +665%, ha consentito il raggiungimento del risultato precedentemente evidenziato. L’uscita di scena della stella del Completion index, inclusa nel paniere dell’S&P 500 lo scorso 21 dicembre, senza dubbio, peserà sulla performance dell’indice e di tutti gli exchange-traded funds a quest’ultimo collegati, quali il Fidelity Extended Market Index Fund e il Vanguard Extended Market ETF.

Perché parliamo di Completion index? Semplice, perché si tratta di un indice che completa l’S&P 500 e consente all’investitore, che investe in fondi collegati ad entrambi gli indici, di detenere l’intero mercato azionario americano senza correre il rischio di duplicare le posizioni in portafoglio. Ad oggi nessuna teoria d’investimento considera come più vantaggiosa la scelta di possedere l’intero mercato azionario statunitense ad eccezione dell’S&P 500, eppure una possibile giustificazione potrebbe essere individuata nella limitazione di scelta delle soluzioni di investimento, poste ai sottoscrittori di particolari prodotti. Si pensi al caso specifico del piano 401(k), un conto pensione a contribuzione definita sponsorizzato dal datore di lavoro, che spesso presenta alternative di investimento limitate per il sottoscrittore e difficilmente riconducibili ad indici complementari quali il Completion Index. La composizione di quest’ultimo, che conta approssimativamente 3000 costituenti e vanta una capitalizzazione di mercato di circa 7 milioni di USD, stando ai dati di Morningstar, è la seguente: 4% di società big-cap, 44% di società mid-cap e 49% di small-caps.

Un indice, insomma, da tenere nel radar soprattutto ora che dovrà fare a meno di Tesla, la cui presenza ha, fino ad oggi, arrecato enormi benefici agli investitori e la cui assenza ne arrecherà altrettanto, con molta probabilità, a partire da oggi. Perché è lecito pensare ciò? Perché la sua esclusione consentirà agli investitori del Completion Index di evitare ulteriori perdite, in caso di trend negativo. A dirlo sono numerosi analisti, che si attendono dal titolo un ritracciamento, a seguito del forte balzo in avanti in vista dell’inclusione nell’indice S&P500, sulla scorta di quanto già verificatosi in passato con il titolo Yahoo Inc., la cui quotazione subì una drastica contrazione a seguito dell’inclusione nell’indice principale nel 1999.

Non dimentichiamoci, poi, dei principali componenti del Completion Index,  nonché le stelle che hanno brillato di luce propria nel corso del 2020 quali:  Zoom (+460% da inizio anno), Square (+ 272% da inizio anno) e Moderna (+560% solo quest’anno) che, stando alle statistiche, dovrebbero sorprenderci anche nel 2021!

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