Le grandi imprese sembrano aver trovato una soluzione per superare la crisi: diventare più grandi e controllare maggiori quote di mercato. Come mostra uno studio della società anglo-americana Refinitiv, il valore complessivo delle fusioni e acquisizioni concluse nel mondo tra gennaio e aprile del 2021 è pari a 1.770 miliardi di dollari: un record storico, per un valore in crescita del 124% rispetto all’anno precedente, trainato in particolare dagli USA. Ma questo trend è solamente la fase più recente di un orientamento, che, già dagli ultimi anni precedenti alla pandemia, ha acquisito sembianze sempre più globali. Dal commercio alimentare ai mezzi d’informazione, passando per l’acqua, l’energia, il web e i servizi bancari, la maggior parte dei settori è dominata ormai da un pugno di poche multinazionali. Quello che gli economisti si chiedono è se ciò rappresenti necessariamente uno svantaggio per la competitività dei mercati.
Chi sembra avere le idee chiare a riguardo è Joe Biden, il quale ha annunciato pubblicamente: “Il capitalismo senza concorrenza non è capitalismo. Ѐ sfruttamento.” Lo scorso 9 luglio, infatti, il presidente degli Stati Uniti ha firmato un ordine esecutivo – ovvero un provvedimento che indirizza l’operato delle agenzie governative – per promuovere maggiore concorrenza nell’economia americana. Si tratta di 72 iniziative pensate per ridurre la tendenza al consolidamento aziendale, contrastare le pratiche anticoncorrenziali e offrire vantaggi concreti ai consumatori, ai lavoratori e alle piccole imprese americane.
Quali sono le cause principali dietro alle concentrazioni?
Uno dei motivi scatenanti è l’idea che l’economia di scala sia la chiave della competitività: ciò consisterebbe nell’aumentare la scala di produzione diminuendo il costo unitario del prodotto come principale obiettivo a medio-lungo termine. In secondo luogo fusioni e acquisizioni aumentano il potere di mercato e quello contrattuale dell’ impresa verso produttori, fornitori e aziende terziste. Per le grandi realtà, in particolare, la soluzione passa dunque per l’aumento delle dimensioni: più grandi, più forti. Ma per i consumatori, per l’economia, per i mercati e per quelle stesse aziende, si tratta sempre di strategie virtuose? Qual è il costo sociale della diffusione sempre più ampia degli oligopoli?
Il moltiplicarsi delle posizioni dominanti determina una distribuzione ineguale degli incrementi di produttività, una minore crescita dei salari, un aumento dei prezzi, un rallentamento nella diffusione del progresso tecnico e, di conseguenza, una minore crescita. Nei mercati poco competitivi, infatti, i grandi players non sono incentivati ad investire per produrre vantaggi competitivi nei confronti dei competitors. Al contrario, la presenza di tali colossi può frenare l’accesso al mercato dei concorrenti decidendo di acquistarli.
Uno degli esempi più lampanti è quello del settore tech, dove i cosiddetti GAFAM (Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft) agiscono da padroni incontrastati. Il loro successo ha sicuramente trainato una straordinaria crescita in Borsa; senza di loro, durante la pandemia il mercato azionario americano avrebbe registrato un trend medio molto più basso. Tuttavia, nonostante i benefici sociali che queste aziende hanno portato soprattutto durante i lockdown, il loro dominio ha un costo. Un insieme di elementi che prevede condizioni di lavoro difficili (dipendenti Amazon sottopagati), pratiche fiscali opache, senza dimenticare che da elevati poteri contrattuali possono derivare deroghe su standard ambientali e sociali.
Perchè quindi è importante tutelare le politiche di concorrenza?
In competizione il modo più semplice per conquistare quote di mercato è offrire un prezzo più basso. E non sono solo i consumatori a trarne vantaggio: quando un maggior numero di persone può permettersi di comprare un prodotto, le aziende lavorano di più e questo giova all’economia nel suo insieme. La concorrenza porta ad aumentare la qualità dei beni e servizi offerti e ad incrementarne la scelta; inoltre, per poter offrire prodotti migliori, incentiva l’innovazione rendendo più competitive le imprese anche sui mercati mondiali.
Ѐ presto per dire fino a che punto si spingerà Biden nella “battaglia” appena cominciata, ma molto dipenderà anche dalle scelte che gli altri grandi attori dell’economia globale faranno in merito alle politiche concorrenziali.
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