Una delle tematiche che negli ultimi anni ha maggiormente caratterizzato la materia bancaria è sicuramente quella legata ai crediti deteriorati. La cronaca finanziaria per indicarli ha fatto spesso ricorso alla dicitura “Non performing loans”, termine mutuato dall’inglese -traducendo alla lettera “crediti non performanti”. Tale denominazione, in un certo qual modo benevola, cela in realtà un fenomeno fonte di grandi rischi per gli istituti finanziari. Borsa Italiana nel definirli riporta: “I crediti deteriorati delle banche sono dei prestiti la cui riscossione è considerata a rischio sotto diversi profili. Si tratta in genere di esposizioni degli istituti di credito verso soggetti che, per un peggioramento della propria situazione economica e finanziaria, non sono in grado di far fronte alle proprie obbligazioni e quindi di ripagare nei tempi o negli importi previsti le rate del proprio debito.”
A seguito della ormai non più cosi recente (ma ancora di grande attualità) crisi finanziaria, è facile intuire come i bilanci delle banche, nostrane e non, fossero drammaticamente influenzati dalla presenza di questi crediti. Diversi studi, infatti, hanno mostrato come famiglie e imprese, all’indomani della crisi, non fossero più in grado di adempiere alle proprie obbligazioni, mettendo così in difficoltà anche il sistema creditizio che aveva concesso loro prestiti. Per fornire una quantificazione numerica del fenomeno basti pensare, che post crisi del debito sovrano il volume di prestiti deteriorati nel bilancio delle banche nell’area euro ammontava a circa 1 trilione di euro e costituiva oltre il 9 per cento del PIL relativo.
Gli interventi da parte delle Autorità europee sono stati molteplici e hanno trattato il tema dei crediti deteriorati con diversi obiettivi.
Da una parte, ci si è occupati dell’ambito definitorio: dal momento che non esisteva una definizione armonizzata valevole per tutti i Paesi europei, la discrezionalità lasciata ai singoli istituti non permetteva un’agevole comparabilità tra i diversi enti creditizi. Della questione si sono occupati con diversi obbiettivi lo IASB, l’Unione Europea e l’EBA.
Lo IASB, con riferimento al profilo contabile dei non performing loans ha proposto l’IFRS 9, il quale ha introdotto diverse novità. L’innovazione più rilevante è rappresentata sicuramente dal passaggio da un principio (IAS 39) che prevedeva espressamente che “le perdite attese come risultato di eventi futuri, indipendentemente dalla loro probabilità, non sono rilevate”, ad un principio (IFRS 9) che richiede invece una valutazione delle perdite attese.
Per quanto attiene agli aspetti prudenziali, la definizione è contenuta nel regolamento N. 575/ 2013 “Capital Requirement Regulation”, cosiddetto CRR emanato dall’UE, il quale si occupa di indicare quando un debitore è da considerare in stato di default, al fine di permettere un corretto calcolo dei requisiti patrimoniali.
Si rinviene infine una definizione segnaletica introdotta dall’EBA, che assolve la propria funzione nell’ambito della vigilanza ispettiva, permettendo di classificare un’esposizione come “sofferenza” nel momento di trasmissione di un set di dati sulla qualità del credito all’Autorità di vigilanza.
Dall’altra parte, ci sono stati anche altri interventi che hanno riguardato la gestione dei non performing loans, tra cui possiamo citare “le linee guida per la gestione dei prestiti non-performing” del marzo 2017, le quali hanno fornito un insieme di norme e buone prassi comuni a livello di eurozona per la gestione delle sofferenze. Nell’anno successivo sono state fornite ulteriori indicazioni circa le politiche in termini di accantonamento che prevedevano una maggior tempestività di azione.
È bene notare come l’obbiettivo di riduzione dell’ammontare di NPLs nelle banche dell’Unione Europea, postosi dalle autorità di vigilanza, abbia trovato il proprio compimento nel marzo del 2019 quando, nonostante le differenze ancora presenti nei diversi Paesi, lo stock di Npls presente nei bilanci bancari si era ridotto toccando quota 600 miliardi. La lente di ingrandimento è ora puntata sui risvolti che la pandemia in corso avrà anche su questo fronte. Le istituzioni creditizie italiane, come del resto del mondo, si trovano ad affrontare una situazione senza precedenti recenti. Il rischio concreto è rappresentato da una nuova esplosione di non performing loans. È bene sottolineare come le regole finora concepite si basino su una situazione economica ben diversa da quella attuale e come le stesse potrebbero riscontrare difficoltà di applicazione in un tale contesto. Da questo traiamo la necessità di un corretto, seppur complicato, bilanciamento tra il sostenimento dell’economia reale e il mantenimento della stabilità finanziaria.
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