Agli occhi dei più potranno sembrare la stessa identica cosa, eppure vi è una netta distinzione tra Quantitative Easing (QE) e Outright Monetary Transactions (OMT).

Il QE rappresenta ad oggi l’àncora di salvezza dell’Eurozona, strumento utilizzato per l’iniezione di liquidità nel sistema finanziario ed economico attraverso operazioni di mercato aperto.
L’OMT è il “piano salva euro” ideato dalla BCE, sotto la guida di Mario Draghi che nel celebre discorso di Londra del Settembre 2012 annuncia tale misura quale soluzione alla crisi dello spread che dilagava tra i paesi periferici (spread Italia-Germania schizzato oltre quota 570 rispetto ai 240 bps di spread odierno).

 

 

Quest’ultimo strumento racchiude la celebre frase del presidente della BCE: “Within our mandate, the ECB is ready to do whate- ver it takes to preserve the euro. Believe me, it will be enough.”

La BCE si dichiara pronta ad intervenire sul mercato secondario attraverso l’acquisto di bond governativi con scadenza a breve (1-3 anni), per ripristinare l’ordine sui mercati finanziari.

Si tratta, in sostanza, di due politiche “non convenzionali” nate con l’obiettivo di salvare l’Eurozona da un possibile rischio di ridenominazione (abbandono dell’euro e ripristino delle precedenti valute). Le Outright Monetary Transactions di fatto non hanno mai trovato un’applicazione concreta ma hanno permesso alla BCE di eliminare le tensioni politiche che vedevano coinvolti in primis i cosiddetti PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna), i cui rispettivi spread aumentavano a vista d’occhio. Ad amplificare lo spread con i Paesi stabili (in questo caso i bund tedeschi) sono stati la forte debolezza strutturale dei Paesi precedentemente citati e la mole di debito che, in alcuni casi, sfiorava il 150% del PIL.

 

 

L’effetto diretto dell’annuncio di un possibile intervento sul mercato secondario, senza alcuna limitazione né quantitativa né qualitativa, ha avuto un immediato impatto sugli spread nel mirino della BCE: la stessa Banca Centrale ha successivamente affermato che i rendimenti dei bond spagnoli ed italiani a 2 anni hanno registrato una contrazione di 200 basis points a seguito del discorso di Draghi. Contemporaneamente si è registrato un incremento dell’attività economica (+2% PIL) e dell’inflazione, crescita del credito (+3%) e riduzione della volatilità nel mercato dei bond.

Un quesito sorge spontaneo: perché le OMTs non si sono mai concretizzate tramite interventi diretti della BCE?
La risposta è piuttosto semplice e ruota attorno al tema della “condizionalità”. La BCE, infatti, si impegna ad implementare tale misura non convenzionale ma a patto che il Paese beneficiario aderisca al programma di condizionalità che detta stringenti piani di marcia per le riforme strutturali e l’applicazione di misure sui bilanci.

Come confermato dallo stesso Draghi “I governi emittenti che ne chiedono l’attivazione sottoscrivono con le autorità europee e, possibilmente, con il Fondo monetario internazionale, un programma di risanamento delle debolezze macroeconomiche e strutturali. La liquidità creata con tali acquisti verrà riassorbita dalla BCE”.

Insomma, troppi paletti che limitano le richieste di soccorso da parte dei singoli governi membri, poco propensi ad una costante pressione da parte dell’Autorità di Vigilanza Europea.

Al contrario, il Quantitative Easing ha trovato campo libero e negli anni ha arginato ogni possibile tensione macroeconomica o politica, consentendo una graduale ma robusta ripresa delle economie europee sia core che periferiche.

Cos’è praticamente questo strumento monetario e quali finalità sono state perseguite negli anni dalla Banca Centrale Europea?
Ad oltre tre anni di distanza dall’entrata in vigore dell’alleggerimento monetario voluto dal presidente Mario Draghi si iniziano ad intravedere risultati non di così poco conto. La volontà di immettere liquidità tramite l’acquisto di Titoli di Stato e obbligazioni di varia natura aveva quale finalità ultima quella di far ripartire non solo il sistema finanziario ma soprattutto l’economia reale. Le banche si sono trovate ad avere in pancia sempre più liquidità, il che ha reso inevitabile una ripartenza del credito al consumo e dunque maggiori investimenti e domanda crescente da parte delle famiglie italiane.

Il mandato della Banca Centrale consiste nel riportare l’inflazione dell’Area Euro ad un livello inferiore ma prossimo al 2% e il traguardo ormai prossimo è costato oltre 2.500 miliardi di acquisti in Titoli di Stato da parte delle banche centrali nazionali ed un corrispondente peso della bilancia europea per oltre il 40% del PIL dell’Eurozona.

Nell’immagine che segue una rappresentazione grafica dell’implementazione del QE, partito a Gennaio 2015 sotto il nome di Asset Purchase Programme (APP).

Ebbene sì, il QE non presenta un’unica forma, le fasi del Qe sono state per la precisione quattro ma prima di allora varie misure di politica monetaria sono state intraprese dalla BCE:

  • Long Term Refinancing Operation (LTRO): liquidità prestata per tre anni al sistema bancario per mezzo di aste e ad un tasso pari alla media del tasso sulle operazioni di rifinanziamento marginale dei tre anni successivi –> non parliamo ancora di allentamento monetario bensì di prestito a scadenza;
  • Targeted Long Term Refinancing Operation (TLTRO): nuova ondata di aste semestrali per il sistema bancario con precisi vincoli di destinazione della liquidità liberata –> parliamo ancora di liquidità prestata alle banche ma nello specifico da destinarsi interamente a famiglie ed imprese per una ripartenza di consumi e investimenti.

A Gennaio 2015 viene ufficialmente avviato il QE, sotto forma di:

  • Asset Purchase Programme (APP): acquisto diretto dei titoli di Stato nazionali da parte della BCE, per il tramite delle banche centrali nazionali–> prima vera forma di politica monetaria “non convenzionale” e contemporanea crescita della base monetaria in circolazione.

Quali sono state le fasi salienti dell’implementazione de QE per definizione, nonché l’ultima manovra monetaria di un lungo programma avviato dalla BCE nel lontano Dicembre 2011?

L’Asset Purchase Programme presenta al suo interno quattro differenti fasi, distinte tra loro dalla tipologia di titoli obbligazionari impattati:

  1. Tranches di Asset Backed Securities (ABS) con rating non inferiore a BBB (programma ABSPP);
  2. Obbligazioni bancarie garantite con rating non inferiore a BBB (programma CBPP3);
  3. Titoli emessi da società non bancarie con sede nell’Area Euro (programma CSPP);
  4. Titoli di Stato di Paesi dell’Area Euro (programma PSPP).

E’ quest’ultima la parte più rilevante dell’intero programma di acquisti (pesa più del 90% dell’intero programma) che, a differenza delle precedenti, può essere implementata unicamente sul mercato secondario e prevede specifici limiti quantitativi: non si può acquistare una quota eccedente il 25% del singolo titolo e il 33% del debito del singolo Paese europeo.

In pochi si sono però chiesti chi fosse il reale esecutore degli acquisti di titoli obbligazionari. E’ arrivato il momento di svelarne l’identità: le Banche Centrali Nazionali. Avete capito bene, non è la BCE la sola ed unica acquirente bensì le Banche Centrali di ciascuna nazione dell’Eurozona. Solo l’8% spetta alla BCE, il resto segue il principio della Capital Key (ogni Banca Centrale può acquistare bond in funzione della quota del capitale della BCE dalla stessa detenuta).

Gli acquisti odierni si aggirano attorno ai 30 miliardi di euro dai precedenti 60 ma, come confermato in questi ultimi giorni dallo stesso Mario Draghi, scenderanno progressivamente a 15 miliardi dal prossimo Settembre, per poi azzerarsi definitivamente a fine 2018.

Di seguito la rappresentazione grafica degli acquisti finora effettuati e le diverse componenti obbligazionarie impattate; parliamo di acquisti “netti” ma di fatto il quantitativo va rivisto al rialzo in quanto le Banche Centrali reinvestono le cedole staccate e i titoli giunti in scadenza.

A piccoli passi si sta tornando alla normalità, un concetto nuovo in un contesto economico “drogato” da un eccesso di accomodamento monetario (Goldilocks Economy) e forse troppo fragile di fronte ad un’eventuale nuova crisi economica. Tanto è stato fatto ma gli squilibri all’interno dell’Eurozona continuano a persistere in modo evidente; le riforme strutturali saranno inevitabili per prevenire fenomeni di crisi sistemiche e si dovrà monitorare con attenzione il debito pubblico. L’epoca dei tassi bassi volge al termine e tutti noi dovremo fare i conti con la realtà ma, a differenza delle precedenti crisi, avremo un’arma in più a disposizione: le Outright Monetary Transactions continueranno ad essere la soluzione più efficace qualora i Paesi temessero di perdere accesso al mercato per rifinanziare il debito in scadenza. Il fondo Salva-Stati interverrà su chiamata del Paese coinvolto dalla crisi tramite l’acquisto sul mercato secondario di titoli di Stato con vita residua tra 1 e 3 anni ma in cambio chiederà una maggiore sostenibilità del debito e disciplina dei conti pubblici.

One thought to “Outright Monetary Transactions e Quantitative Easing: il tramonto della Goldilocks Economy”

  • Michele Campanelli

    In “Rebooting the Eurozone: Step 1 – Agreeing a Crisis narrative” autorevoli economisti chiariscono che la crisi dell’Eurozona non è stata una crisi del debito pubblico ma un “sudden stop” del mercato interbancario.

    La prossima crisi dei mercati finanziari vedrà l’intervento di nuovi operatori: Google, Apple, Facebook and Amazon.

    Molte grandi banche sono contenibili: diventerà difficile, per l’azionariato di controllo, giustificare l’interveto pubblico.

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