I rapporti tra Cina e Africa non sono certo recenti bensì risalgono agli anni 50 quando Mao Zedong e Zhou Enlai, primo premier della Repubblica Popolare Cinese, visitarono l’Africa per firmare accordi bilaterali con molti paesi africani. Il governo cinese fu infatti tra i primi a investire in progetti in Africa e ad oggi rappresenta uno stakeholder fondamentale in termini di scambi commerciali, investimenti diretti nel paese e detenzione del debito. Per quel che concerne gli scambi commerciali, l’anno di svolta lo possiamo identificare con il 2009, durante il quale la Cina ha superato gli Stati Uniti arrivando ad essere il primo partner commerciale con l’Africa e durante gli ultimi anni il commercio tra i due paesi non ha fatto altro che incrementare. Tra il 2000 e il 2014 questi scambi sono aumentanti di 20 volte e ad oggi il commercio sino-africano vale molto di più rispetto al commercio dell’Africa con Regno Unito, Giappone, Stati Uniti e Francia messi insieme. I dati dell’UNCTAD (United Nations Conference on Trade and Development) stimano un export verso la Cina di circa 59,6 miliardi e un export verso l’Africa di circa 113,21 miliardi di dollari. Questi accordi sono per la maggior parte molto concentrati ed infatti soltanto 4 paesi quali Sudafrica, Angola, Nigeria ed Egitto determinano il 48,26% dell’interscambio. Infatti, il 40,07% delle esportazioni cinesi in Africa è concentrato tra Nigeria, Sudafrica ed Egitto, mentre l’import è principalmente rappresentato da Sudafrica e Angola per un 51,97% del totale.
Con l’aumento del commercio, l’Africa è riuscita ad ottenere un saldo commerciale positivo, anche se nel 2015 il processo si è interrotto a causa del crollo del prezzo delle materie prime sui mercati. Questa è la ragione per cui negli ultimi anni il saldo africano verso la Cina è negativo, dal momento che il valore delle esportazioni non riesce a pareggiare quello delle importazioni cinesi. La bilancia commerciale negativa è un problema soprattutto per quei paesi africani che importano molti prodotti industriali ma esportano solamente pochi prodotti agricoli.
Ancor più importante è la presenza di investimenti diretti cinesi sul suolo africano, i quali sono passati da 491,2 milioni di dollari nel 2003 a 43,30 miliardi nel 2017. Stando alle ricerche del ENR (Engineering News-Record) le aziende appaltatrici cinesi nell’ambito dell’ingegneria e delle costruzioni hanno raggiunto il 59,8% del mercato delle costruzioni africano. Nel 2020 le più importanti aziende appaltatrici in Africa erano cinesi, e queste sono state in grado di costruire 1/3 dei progetti infrastrutturali. La più nota è China Communications Construction Group Ltd, una multinazionale quotata in borsa con una partecipazione di maggioranza in mano al governo cinese che si è occupata della costruzione di autostrade, ponti, ferrovie e gallerie. In generale, sebbene alcuni progetti siano stati completati a titolo gratuito, la maggior parte sono stati finanziati a credito dalla China Eximbank e dalla China Development Bank, con il conseguente aumento del debito pubblico africano. Il problema è che il Fondo Monetario Internazionale classificava, già negli anni precedenti, molti paesi africani a rischio per l’elevato debito contratto soprattutto nei confronti del governo cinese e molti di questi hanno raggiunto oggi un limite alla capacità di indebitamento. Secondo alcuni analisti questo fattore potrebbe generare un meccanismo perverso che viene definito “trappola del debito”, grazie alla quale il governo cinese riesce ad esercitare un controllo sul continente. La Cina ha costruito e sta costruendo a credito le varie infrastrutture utilizzando come garanzia le stesse opere o parti di queste che in tal caso finirebbero nelle mani delle imprese cinesi, a loro volta controllate dal governo centrale. Tra il 2000 e il 2019 sono stati stimati finanziamenti cinesi ai governi e alle imprese statali africane per la costruzione di infrastrutture per circa 153 miliardi di dollari. A dominare la classifica ci sono il settore dei trasporti, dell’energia e quello estrattivo minerario, che costituiscono un debito di 103 miliardi per i governi africani con un’esposizione estremamente elevata dell’Angola. La prevalenza delle infrastrutture è dovuta ad uno scarso sviluppo e una forte inefficienza di questo settore in Africa.
Ma perché la Cina punta così tanto sul continente africano?
La prima motivazione va ricercata nell’importanza strategica delle materie prime che possiede questo continente, le quali servono per supportare lo sviluppo economico cinese. La Cina, infatti, è oggi il paese più popoloso al mondo e non può sostentarsi con le proprie forze. Ha dunque bisogno di materie prime agricole tanto che oggi è il maggiore importatore agricolo del mondo. In questo settore sono stati annunciati 10 progetti tecnologici per l’agricoltura, investimenti su terreni agricoli non ancora sfruttati e un finanziamento di 10 miliardi di dollari per supportare l’export africano verso la Cina. Oltre alle materie prime agricole vi sono anche le terre rare, il petrolio (oltre un terzo del petrolio cinese proviene dall’Africa) e altri minerali non ancora sfruttati. In particolare, le terre rare sono tutti quegli elementi che vengono utilizzati nei prodotti tecnologici e che sono difficili da sostituire con altri materiali. Dal 2018 il “dragone” è già diventato importatore di alcune terre rare provenienti dal territorio africano. Secondo alcuni analisti, tra i quali l’ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale), la Cina potrebbe scambiare i propri investimenti infrastrutturali con diritti di esplorazione minerali ed energetici e approvvigionamento di risorse naturali. È ciò che è accaduto quando la China Exim Bank ha finanziato a credito 107 progetti infrastrutturali in Angola con rimborso garantito dai flussi in entrata dell’export di petrolio africano. Per quei paesi che mancano di risorse minerarie, la contropartita è invece rappresentata dai prodotti agricoli.
La seconda motivazione è collegata al ruolo del soft power cinese. Il governo di Pechino tramite accordi bilaterali tra i vari Stati e grazie alla concessione di prestiti per lo sviluppo riesce ad esercitare un controllo politico e strategico su di essi.
Altre ragioni le possiamo trovare nelle proiezioni sull’andamento demografico futuro. Entro il 2034 si prevede che la forza lavoro africana diventerà più grande rispetto a quella indiana e cinese messe insieme e secondo l’ONU l’Africa si appresta a diventare il paese con l’incremento più consistente della popolazione. Dall’altro lato, la popolazione cinese andrà incontro ad un invecchiamento con 1/3 degli abitanti che avrà più di 65 anni. Con queste cifre, per le imprese cinesi ad alto utilizzo di manodopera è ragionevole investire nel territorio africano. Inoltre, la Cina grazie alla crescita industriale degli ultimi 20 anni non è più un paese a basso costo della manodopera, mentre l’Africa lo è tutt’ora. Queste motivazioni hanno spinto aziende come Sany Group a localizzare la produzione nel continente per poter avere il 60% della forza lavoro africana. La crescita demografica e della forza lavoro non è utile solo per l’utilizzo di manodopera ma anche per la costituzione di un mercato globale fatto di miliardi di individui che potrebbero acquistare i prodotti cinesi.
FONTI:
https://thediplomat.com/2022/02/african-opportunities-in-china-africa-relations/
https://www.ft.com/content/64b4bcd5-032e-4be5-aa3b-e902f5b1345e
https://www.ft.com/content/1cf62477-d584-43a9-a3b1-cc263ad29583
https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/terre-rare-pechino-punta-allafrica-ma-non-e-sola-29878
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