No hay plata. Non ci sono soldi. Javier Milei, il neoeletto presidente dell’Argentina, ha dichiarato  chiaramente che il paese non ha denaro per sistemare i conti pubblici in maniera graduale ma solo  attraverso uno shock immediato e questa, a suo avviso, è empiricamente la scelta più giusta e più  efficace in casi estremi come quelli dell’Argentina. 

Javier Milei è un economista di stampo ultraliberista di estrema destra. Si è contraddistinto durante  la sua campagna elettorale per un metodo di comunicazione molto forte e da molti considerato  violento. In questo articolo non ci concentreremo sulla sua posizione circa i vaccini, compravendita di organi e altri suoi pensieri particolarmente divisivi ma solo sulle sue intenzioni economiche per  tentare di risollevare il paese. 

Ad oggi, l’Argentina è in una situazione particolarmente critica. Il tasso d’inflazione è al 160%, la  povertà colpisce circa il 40% della popolazione e la maggior parte del debito pubblico è espresso in dollari. Per un paese che, economicamente parlando, ha una storia molto difficile, questa non è una novità. Dalla sua indipendenza dalla Spagna, l’Argentina ha dichiarato default ben otto volte, l’ultima delle quali nel 2001/2002 con l’uscita dal Currency Board. Questo era un sistema di ancoraggio della moneta locale al dollaro messo in atto dal presidente  Carlos Menem nel 1991 per ridurre l’inflazione oramai fuori controllo. Il sistema fu abbandonato alla fine del 2001 quando l’Argentina entrò nuovamente in crisi e dovette  svalutare il peso per combattere la recessione (cosa che non avrebbe potuto fare se fosse rimasta  ancorata al dollaro che nel frattempo si era apprezzato molto). Come è facile immaginare, le frequenti crisi e la persistente instabilità hanno portato gli investitori a  non avere più fiducia nei confronti del paese latino-americano che è stato costretto a monetizzare il  debito pubblico, non potendo più finanziarsi sui mercati internazionali. La Banca Centrale argentina  ha quindi stampato una grande quantità di moneta che, come è ormai confermato da qualsiasi teoria economica, ha contribuito a far crescere il tasso di inflazione. Negli ultimi anni, l’Argentina è riuscita a ridiscutere parte delle scadenze sul suo debito, tra le quali quella con il Fondo Monetario Internazionale sottoscritto dal Presidente Mauricio Macri nel 2018  con l’obiettivo di ristabilire fiducia sui mercati. 

Per far fronte a questa situazione di crisi, Milei ha assunto delle posizioni forti per quanto riguarda  la Banca Centrale argentina, la spesa pubblica e le politiche green. Particolarmente memorabile è il video durante la campagna elettorale in cui diceva di voler eliminare molti dei ministeri per alleggerire lo stato e ridurlo al minimo, ovvero con gli unici ministeri di cui, secondo il neopresidente, uno stato avrebbe bisogno. Inoltre, ha previsto l’accorpamento del Ministero della  Sanità, del Lavoro e dell’Istruzione nell’unico Ministero del Capitale Umano. Annunciate nei giorni scorsi, le prime riforme del Governo Milei hanno immediatamente scatenato una serie di proteste da parte di molti cittadini argentini: svalutazione del 50% del peso rispetto al dollaro da circa 400 a 800 pesos per dollaro (anche se il tasso di cambio sul mercato nero aveva  già raggiunto i 1000 pesos per dollaro), tagli alla spesa pubblica, privatizzazione di imprese statali e deregulation. Ma cerchiamo di mettere un po’ di luce su queste proposte.

Le privatizzazioni delle imprese statali sono necessarie per immettere nelle casse dello stato liquidità in modo da ridurre il deficit di bilancio e ristabilire fiducia agli occhi degli investitori e a destinare le entrate verso altri settori invece che per finanziare imprese oramai in perdita. La svalutazione della valuta locale serve invece a rendere più convenienti i beni locali per i paesi  esteri con il risultato di un aumento delle esportazioni e un miglioramento della bilancia commerciale. Questo sistema è noto in macroeconomia come condizioni di Marshall-Lerner. Senza entrare troppo nel tecnico, la funzione di produzione nazionale è composta da consumi,  investimenti, spesa pubblica ed esportazioni nette. Queste ultime sono la differenza tra  esportazioni e importazioni e, se il governo svaluta la propria moneta, le esportazioni  aumenteranno con un effetto benefico sulla bilancia commerciale. Ovviamente, la svalutazione non ha effetti solamente positivi. Come detto precedentemente, gran parte del debito argentino è espresso in dollari. Se il peso viene svalutato, l’incidenza del debito diverrà ancora più alta con un conseguente aumento delle probabilità di default per la nazione creando una spirale potenzialmente distruttiva. Tuttavia, svalutare il peso è una misura che va controcorrente rispetto alla dichiarazione di Milei durante il suo discorso alla nazione di voler “dollarizzare” l’Argentina, un argomento che riporta inevitabilmente il pensiero al Currency Board e al suo fallimento. In questo senso, sarà curioso vedere in futuro come si comporterà il governo in quanto più si svaluta il peso, più dollari saranno  necessari per effettuare la conversione e le riserve della banca centrale potrebbero non risultare  sufficienti. Inoltre, non è superfluo sottolineare che un processo di dollarizzazione e chiusura del Banco  Central de la Repùblica Argentina annullerebbe qualsiasi azione di politica monetaria. Adottare il  dollaro come moneta, non significa creare una situazione come quella dell’eurozona dove la Banca Centrale Europea gestisce la politica monetaria tenendo in considerazione tutta l’area euro. La Fed (la Banca Centrale degli Stati Uniti d’America) prenderà le sue decisioni solamente in base allo stato dell’economia degli Stati Uniti, non preoccupandosi certamente dell’Argentina. Va ricordato inoltre che quest’ultima ha già giocato la “carta del dollaro” per risanare l’economia, con effetti disastrosi e molti economisti sono ancora molto critici sulla scelta effettuata.

Milei, davanti a chi si vede critico nei confronti di questa azione, si mostra tuttavia deciso, sottolineando il fatto che molti argentini, non fidandosi più del peso, stanno da tempo tenendo i loro risparmi in dollari “sotto il materasso” o addirittura spostando capitali all’estero. L’adozione del dollaro come moneta ufficiale spingerebbe gli argentini a riportare capitale all’interno del paese con un beneficio non indifferente per l’economia. È doveroso sottolineare, però, almeno un effetto positivo del processo di dollarizzazione. Come è ovvio che sia, più un paese è considerato rischioso e più il tasso di interesse applicato sul suo debito sarà alto. Adottare il dollaro come moneta ufficiale può essere efficace per dare un segnale forte e positivo ai mercati con una conseguente riduzione del tasso di interesse ed è facile capire quanto avere una spesa per interessi il più bassa possibile sia un punto fondamentale per il  bilancio dello stato. 

La svalutazione del peso è arrivata in concomitanza con la decisione di ridurre la spesa pubblica. Da un punto di vista teorico, infatti, queste due misure combinate avrebbero in effetti senso. Un solo effetto espansivo dato dalla svalutazione non farebbe altro che contribuire ad aumentare l’inflazione, ovvero l’ultima cosa di cui l’argentina ha bisogno. Come tutte le misure restrittive, il  taglio della spesa pubblica è una misura particolarmente impopolare con un costo sociale molto alto e rischia di far accendere proteste difficili da placare. Se il paese in questione ha il 40% della  popolazione sotto la soglia di povertà, il rischio cresce ancora di più. 

Le uniche misure sociali per ora previste dal pacchetto sono l’aumento del 100% dell’assegno  universale sui figli e del 50% sulla tessera alimentare. Sono state invece cancellate tutte le gare di appalto, anche quelle già assegnate ma i cui lavori non sono ancora cominciati. Inoltre, il taglio della spesa pubblica è stato annunciato per i sussidi ai settori dei trasporti e  all’energia. 

Per quanto concerne il delicato tema dell’energia, uno dei ministeri che Milei vuole eliminare è quello dell’Ambiente e dello Sviluppo Sostenibile. Da questo ultimo punto di vista, le sue posizioni sono in controtendenza rispetto a quello che si vede sui mercati finanziari. Negli ultimi anni, le aziende con un’impronta green e che hanno rispettato gli standard ESG (in questo articolo non verrà approfondito il tema del greenwashing, ma andrebbe considerato anche questo fattore) sono cresciute in maniera esponenziale con una sempre più alta attenzione da parte degli investitori al tema della sostenibilità ambientale. Se il mondo riuscirà davvero a rispettare tutti gli accordi e i trattati stipulati durante gli ultimi anni (ad esempio il Protocollo di Kyoto, l’Accordo di Parigi, ecc.) in termini di riduzione di emissioni di CO2, l’Argentina potrebbe ritrovarsi dipendente da altri paesi circa l’importazione di componenti  fondamentali per tecnologie sostenibili. Per un paese che punta a crescere, continuare ad innovare ed essere presente sul piano della ricerca (sia sul piano della sostenibilità che in generale) è fondamentale per non rimanere indietro. È comprensibile per un paese in crisi come l’Argentina che si ponga poca attenzione alle politiche di ricerca e sostenibilità per dare spazio a decisioni che devono letteralmente salvare il paese, ma il segnale che si fornisce ai mercati potrebbe non essere dei migliori e, soprattutto, in un’ottica di lungo periodo potrebbe non essere la scelta giusta. 

In conclusione, è difficile e prematuro fare delle previsioni su quello che sarà il futuro dell’Argentina e se Milei sia l’uomo giusto per sistemare la situazione critica. Bisogna dire che, nella situazione attuale, un taglio alla spesa pubblica e una riduzione dell’inflazione sono le priorità del paese e, come Milei ha promesso, le riforme del governo sembra stiano andando in quella direzione. La  sfida più dura sarà forse riacquisire la fiducia sui mercati finanziari, cosa non scontata dato che dopo il default del 2001 l’Argentina ha dovuto aspettare circa quindici anni prima di riuscire ad emettere nuovo debito. Il Presidente Milei, nel suo discorso alla nazione, ha avvertito i cittadini che i prossimi mesi  saranno ancora più difficili e bisognerà soffrire ancora un po’ per avvertire i primi effetti benefici di queste politiche. Come si dice in economia, “non ci sono pasti gratis”. Il tempo ci dirà se gli effetti positivi promessi dal Presidente saranno più veloci delle proteste che,  inevitabilmente, nascono in momenti di grandi shock di un paese.

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